Tornare ad elaborare dati sulla popolazione complessiva che ha contratto il virus dell'Hiv o dell'epatite C, e non limitarsi a segnalare solo le nuove infezioni, "perché ad oggi un numero complessivo di persone con Hiv o di persone con Hcv non è possibile averlo".
Al contempo, spingere per far sì di prorogare almeno al dicembre 2023 il decreto ministeriale che promuove lo screening dell'Hcv (epatite) a livello nazionale, possibilmente ampliando la fascia d'età da monitorare, in quanto l'attuale (dal 1969 in su) è "troppo ristretta e non sufficiente per far emergere il sommerso". In più, prorogare sempre al 2023 anche la possibilità, per quanto riguarda l'Hiv, di affidare la mappatura anche agli organismi del Terzo Settore. Sono queste le richieste elaborate dal gruppo di lavoro della Fondazione The Bridge, audito questa mattina sdurante la commissione Sanità lombarda. Secondo la ricercatrice della 'squadra' Martina Sacchi è infatti "fondamentale tornare a parlare di raccolta dei dati" sostanzialmente perché "quello che tutti gli anni viene comunicato dai dati COA (Centro Operativo AIDS, ndr) e dal ministero sono le nuove diagnosi".
In sostanza, come spiega Sacchi, "attualmente non sappiamo qual è la popolazione effettivamente portartrice di Hiv o di epatite C questa cosa è importante da tenere in considerazione perché se manca una mappatura chiara che tra l'altro prevista, tutto il resto perde un po' di significato". E nel resto c'è anche una richiesta di strutturalizzare i fondi 'sperimentali' dedicati all'attività di monitoraggio, "affinché ci sia una programmazione più di lungo corso".