Rieducare il nostro gusto, ‘traviato’ soprattutto dal dolce, ad apprezzare gli alimenti amari, per combattere la doppia pandemia di obesità e diabete. È la proposta innovativa e un po’ provocatoria fatta da una esperta in basi molecolari del gusto, al congresso ‘Panorama Diabete’ della Società Italiana di Diabetologia in corso a Riccione.
Alla base della pandemia di obesità e diabete c’è un’errata alimentazione, quella cosiddetta ‘occidentale’, caratterizzata da una dieta completamente sbilanciata verso tre gusti: il dolce, il salato (chiamati non a caso i due ‘big killer bianchi’) e il grasso. Ma l’esperienza sotto gli occhi di tutti insegna che non basta raccomandare di seguire una dieta salutare, come quella mediterranea. Bisogna agire più in profondità, alla base, rieducando il nostro gusto ‘traviato’.
“La mia ricetta al riguardo – afferma Angela Bassoli, professore associato di chimica organica e basi molecolari del gusto, Università di Milano – è ‘scienza e cultura’. Noi avvertiamo sapori diversi, grazie ad una serie di recettori del gusto specializzati che dovrebbero portarci a cercare alimenti diversi, sulla base delle necessità del nostro organismo in un particolare momento”. In natura, non esistono animali selvatici obesi, perché non mangiano tutto quello che gli si para davanti, ma solo quello che gli serve in quel momento, nella giusta quantità. “I nostri recettori del gusto – prosegue la Bassoli – dovrebbero appunto spingerci a scegliere quello che ci serve. Ma oggi noi non li ‘ascoltiamo’ più, perché non abbiamo bisogno di procacciarci il cibo in natura; ci basta entrare al supermercato”. E il recettore del gusto più ‘potente’ purtroppo è quello del dolce, perché lo zucchero è la principale fonte di energia, che è d’importanza vitale. “La natura – commenta la professoressa Bassoli – non poteva certo prevedere che un giorno avremmo avuto a disposizione tutte queste fonti di energia, ‘facili’ e a basso costo”. E per uscire dunque da questa ‘tirannia’ del dolce e riequilibrare le nostre preferenze alimentari, l’unica soluzione è reimparare ad ascoltare i nostri recettori.
“Ma per fare questo – spiega Bassoli – bisogna ‘allenarli’, perché la nostra alimentazione, esponendoci solo a certi tipi di sapori, ci ha fatto mettere da parte gli altri. Noi abbiamo in dotazione ancora 25 diversi sensori per apprezzare le tante sfumature del gusto ‘amaro’ (contro appena un unico sensore per il gusto ‘dolce’), ma non li usiamo da troppo tempo, sono ‘atrofizzati’ e vanno dunque riallenati. Come? Iniziando a mangiare delle cose un po’ più amare (vegetali, spezie, caffè senza zucchero) rispetto a quello che facciamo abitualmente. Se pian piano mi riespongo a questi sapori, i miei recettori piano piano si adattano”. E in questo modo si ottengono due vantaggi. “Il primo – spiega la professoressa – è diretto: ricomincio a mangiare delle cose che mi fanno bene, ad esempio le verdure che contengono più flavonoidi, più polifenoli, antiossidanti protettivi nei confronti dei tumori e delle malattie cardio-metaboliche”.
Ma c’è anche un vantaggio indiretto. “Se mi abituo ad un gusto un po’ più amaro e meno dolce – spiega la professoressa – automaticamente consumo anche meno zucchero”. L’industria alimentare altera il sapore degli alimenti per renderli più ‘attraenti’, togliendo l’amaro o l’acido. “Una volta – commenta Angela Bassoli – le nostre nonne mangiavano tante erbe di campo amarissime; oggi le abbiamo lasciate da parte e consumiamo invece verdure ottenute con incroci, con selezione genetica, che risultano sempre meno amare. L’industria modifica il sapore dei cibi anche attraverso gli additivi, ad esempio con i dolcificanti che di certo non hanno fatto diminuire né l’obesità, né il diabete. Questo perché sono un fake, non ci danno lo zucchero, ma il nostro recettore si abitua al dolce e ce lo fa desiderare sempre più”. Altri esempi sono gli yogurt industriali, ai quali vengono aggiunti grassi, lecitina, zuccheri e frutta per renderli meno acidi e i succhi di frutta, addizionati di sostanze in grado di togliere l’amaro. Oggi ci sono anche filoni di ricerca per trovare degli additivi chimici in grado di ‘spegnere’ recettori specifici, come ad esempio quelli l’amaro.
“Ma se tutto questo può andar bene per l’industria farmaceutica (le medicine sono quasi tutte ‘amare’) – commenta Bassoli – nel caso di quella alimentare, può avere conseguenze deleterie. Il problema è dunque cambiare i gusti delle persone e direzionarli, rendendole così sempre più sceglitori e meno consumatori”. Certo ci sono anche sostanze amare nocive in natura, ma nell’insieme quelle effettivamente tossiche sono appena il 15-20%, tutte le altre molto spesso, oltre a non essere tossiche, fanno bene. Insomma l’amaro è una gradazione, è la musica e non la nota, un discorso e non una singola parola. Ma cosa ci facciamo con questi 25 recettori? “Magari c’è una specializzazione che ci sfugge – commenta Angela Bassoli – Alcuni recettori potrebbero essere più specializzati nel riconoscere i tossici, altri le sostanze benefiche. Stiamo cercando di capire meglio come funziona. Queste ricerche sono state finora solo dall’industria farmaceutica, mentre il mondo della scienza alimentare ha cominciato da poco. Di recente, ad esempio, una start up tedesca ha cominciato a produrre degli additivi ‘amaricanti’ (estratti di piante amare) per alimenti. Ma non è quella la strada da seguire.
Ritengo che la giusta soluzione sia di aprirci un po’ più al resto del mondo. I nostri ragazzi oggi sono esposti ai cibi etnici, che hanno dei profili molto più amari e speziati di quelli della dieta occidentale. Io spero che questa possa essere una molla per recuperare la biodiversità del gusto. Se cominciamo ad aprirci a queste esperienze, non risulta così incomprensibile riprendere a mangiare, cicoria, broccoli, radici. Di certo, dunque, abbiamo bisogno di uno switch mentale – conclude l’esperta – Se il gusto ‘amaro’ è dato dai polifenoli, allora bisogna spiegare al consumatore che quell’amaro gli fa bene e non va escluso dalla dieta. Più che aggiungere amaricanti negli alimenti, dunque, dovremmo far leva sull’educazione alimentare, a cominciare dai bambini delle scuole”. “Certamente – commenta il professor Agostino Consoli, presidente della Società Italiana di Diabetologia – rieducare ad una sana alimentazione, passa anche per una modificazione del gusto. E oggi, anche alcune tendenze di cucina d’avanguardia tendono a rivalorizzare il rabarbaro, lo zenzero, le verdure di campo, la cicoria, sapori insomma amari che risultano però assolutamente piacevoli ad un gusto ‘educato’.
Bisogna insomma imparare a rivalutare il buono che c’è anche nell’amaro, per riportare l’alimentazione verso una base di maggior salubrità. Ma non è detto che il ‘buono’ per il palato sia per forza dannoso, né che ciò che è buono per la salute debba essere necessariamente amaro o sgradevole al palato. Si possono trovare strategie di fondo come il privilegiare alimenti come pane integrale, olio extravergine d’oliva e pomodoro che rappresentano alimenti di grande palatabilità e che sono allo stesso tempo estremamente salubri per il nostro organismo”.