La popolazione di 65 anni e più rappresenta il 23,2% del totale, quella fino a 14 anni di età il 13%, quella nella fascia 15-64 anni il 63,8%, mentre l’età media si è avvicinata al traguardo dei 46 anni. Cosicché, è certo che le future prospettive saranno in gran parte governate dall’attuale articolazione per età della popolazione, e solo in parte minore dai cambiamenti immaginati circa l’evoluzione della fecondità, della mortalità e delle dinamiche migratorie. In base a un rapporto di importanza, all’incirca, di due terzi e un terzo rispettivamente.
Entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 35% del totale secondo lo scenario mediano, mentre l’intervallo di confidenza al 90% presenta un campo di variazione compreso tra un minimo del 33,1% e un massimo del 36,9%. Comunque vada sarà pertanto necessario adattare ancor più le politiche di protezione sociale a una quota così crescente di popolazione anziana.
I giovani fino a 14 anni di età, sebbene nello scenario mediano si preveda una fecondità in recupero, potrebbero rappresentare entro il 2050 l’11,7% del totale, registrando quindi una lieve flessione. Rimane aperta, tuttavia, la questione che a tale data il rapporto tra ultrasessantacinquenni e ragazzi risulterà in misura di 3 a 1.
L’impatto dell'invecchiamento va evidenziato anche nei confronti della probabile evoluzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni è la componente che sarà più soggetta a repentina variazione (scenderebbe dal 63,8% al 53,3% in base allo scenario mediano), con una forchetta potenziale compresa tra il 51,9% e il 54,7%. Come nel caso della popolazione anziana, quindi, anche qui un quadro evolutivo certo del quale non solo vanno valutati gli effetti sul mercato del lavoro e sulla programmazione economica futura, ma anche la pressione che il Paese dovrà affrontare nel cercare di mantenere l’attuale livello di welfare.
Un parziale riequilibrio nella struttura della popolazione, anche se nel lungo termine, potrebbe aversi via via che le generazioni nate negli anni del baby boom (nati negli anni ’60 e nella prima metà dei ’70) tenderanno a estinguersi. Tali generazioni oggi occupano le tarde età adulte e si accingono a transitare integralmente tra gli over65 nel giro di venti anni. Secondo lo scenario mediano i 15-64enni potrebbero perciò riportarsi al 54,1% entro il 2070 mentre gli ultrasessantacinquenni ridiscendere al 34,3%. Stabile, invece, la popolazione giovanile con un livello dell’11,6%.
La trasformazione della struttura per età della popolazione caratterizzerà ogni area del Paese, sebbene il Mezzogiorno sia contraddistinto da un processo di invecchiamento progressivamente più marcato (Prospetto 2). In tale ripartizione, che oggi presenta ancora un profilo strutturale più giovane, l’età media transita da 44,6 anni nel 2020 a 50 anni nel 2040, sopravanzando a quel punto il Nord che raggiunge un’età media di 49,2 anni ma che nell’anno base parte da un livello più alto, ossia 46,3 anni.
Inevitabile il declino demografico nel Mezzogiorno
La traiettoria di crescita dell’invecchiamento nella ripartizione si estende anche negli anni successivi, fino a completare dal 2050 il sorpasso nei confronti del Centro. A quella data, infatti, l’età media nel Mezzogiorno avrebbe raggiunto i 51,6 anni contro i 51,3 del Centro, sebbene anche quest’ultima ripartizione parta da un livello di invecchiamento oggi decisamente più elevato, ossia 46,4 anni. Nonostante la presenza di un significativo margine di incertezza, che al 2070 comincia a essere importante per un indicatore come l’età media, il Mezzogiorno rallenterebbe ma non fermerebbe il suo percorso raggiungendo un’età media della popolazione superiore ai 52 anni. A quel punto, invece, sia il Nord (49,7 anni) sia il Centro (51,1) avrebbero già avviato da tempo il percorso contrario, ossia quello verso una struttura per età almeno in piccola parte ringiovanita.
Famiglie in aumento ma frammentate
Prosegue l’aumento del numero di famiglie (quasi un milione di unità in più): da 25,7 milioni nel 2020 si stima una crescita fino a 26,6 milioni nel 2040 (+3,5 punti percentuali), ma cresce la loro frammentazione (Prospetto 4). Le famiglie senza nuclei passano da 9,2 a 11 milioni (+20%). Quelle con almeno un nucleo, contraddistinte dalla presenza di almeno una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio, seguono invece una tendenza opposta, diminuendo da 16,6 a 15,6 milioni (-6%).
Il calo delle famiglie con nuclei si deve alle conseguenze delle dinamiche socio-demografiche di lungo periodo: l’invecchiamento della popolazione, l’incremento dell’instabilità coniugale, la bassa natalità. L’aumento della speranza di vita genera un maggior numero di persone sole. Il calo della natalità incrementa le persone senza figli mentre l’aumento dell’instabilità coniugale accresce il numero di persone che vivono sole o di genitori soli in seguito allo scioglimento di un legame di coppia.
Si assottiglia la dimensione media familiare, che si prevede possa scendere da 2,3 componenti nel 2020 a 2,1 nel 2040. Prendendo in esame le sole famiglie con presenza di nuclei la dimensione media risulterebbe variata nel medesimo termine temporale da 3 a 2,8 componenti.