Nota LILA
Questo primo dicembre, giornata mondiale di lotta all’AIDS, cade in un momento particolarmente difficile, segnato, in tutto il mondo, dal disastro COVID che ha colpito in modo disuguale gruppi sociali e popolazioni aumentando ingiustizie ed esclusione.
“In Italia, gli effetti di decenni di tagli, del sistematico smantellamento del sistema sanitario pubblico e della sua frammentazione regionale –dice il Presidente della LILA, Massimo Oldrini- stanno presentando un conto molto pesante sul fronte del diritto alla salute mentre Governo e Regioni non sembrano in grado di correggere il corso di questo tracollo”.
A causa della pandemia, gran parte delle persone con patologie croniche ha subito rilevanti limitazioni nell’accesso e nella continuità delle cure e tra queste, in modo particolare, le persone con HIV. I tradizionali ambiti sanitari di riferimento, ossia reparti e ambulatori di malattie infettive, sono stati proprio quelli più investiti dalla bufera COVID mentre gli infettivologi sono stati letteralmente risucchiati dall’emergenza. Questo ha prodotto, in troppi casi, l’interruzione del rapporto medico-paziente, l’impossibilità di essere ricoverati nei reparti di riferimento, una distribuzione difficoltosa dei farmaci antiretrovirali salva-vita, lo slittamento di visite e controlli, mentre la gestione delle comorbidità (presenti in modo rilevante tra le persone con HIV) è, per tante persone, completamente saltata.
Il colpo è stato duro anche per la prevenzione e la diagnosi precoce: i servizi di testing, così come quelli per l’erogazione della PrEP, la Profilassi Pre-Esposizione, hanno subito forti limitazioni mentre sono saltati i programmi di informazione tra i più giovani, per la verità, quasi esclusivamente appannaggio delle associazioni.
I nostri servizi di helpline hanno colto e raccolto in questi mesi le difficoltà di chi ha vissuto il problema sulla propria pelle. Pur avendo subito interruzioni a causa delle restrizioni, i servizi di supporto della LILA si sono rapidamente riorganizzati riuscendo a garantire aiuto telefonico, consegna a casa di farmaci e analisi, azioni di advocacy sul territorio per chi non riusciva ad ottenere medicine e assistenza.
Il LILAReport2020, che qui presentiamo mostra un deciso aumento, durante l’anno, delle persone con HIV che si sono rivolte ai nostri centralini. Da marzo oltre il 40% dei colloqui è stato proprio relativo ai problemi posti dal COVID: difficoltà nell’accesso ai servizi dedicati all’HIV, reperimento dei farmaci, rischi specifici HIV/Coronavirus, chiarimenti sui DPCM e sui diritti in ambito lavorativo, sempre riguardo allo stato sierologico.
Comprendiamo come tutto ciò sia stato, in un primo momento, inevitabile visto, anche, il pregresso stato di difficoltà del sistema sanitario pubblico. A medici e infermieri impegnati in prima linea, abbiamo espresso, e ribadiamo ancora, tutta la nostra solidarietà.
Non si può accettare, tuttavia, che gli interventi socio-sanitari attuati continuino a rispondere a una logica di pura emergenza mentre nulla si è mosso finora sul fronte della pianificazione, del rilancio del servizio sanitario pubblico, del coinvolgimento della società civile: “Chi ha dei bisogni di salute così complessi non può aspettare, chi contrae l’HIV deve accedere rapidamente alle cure perché il virus, se non trattato adeguatamente può portare a esiti fatali –dice ancora Massimo Oldrini- Allo stesso tempo occorre porre mano a politiche di prevenzione complesse e avanzate. La lotta al COVID, giusta e necessaria, non può tradursi nel rischio di una ripresa della diffusione dell’HIV, come di altre infezioni a trasmissione sessuale e di epatiti virali”.
In questi mesi la LILA e altre ONG hanno incalzato, invano, le istituzioni affinché il tema fosse posto sul tavolo. Solo in un recente incontro, il Ministero della Salute si è impegnato all’emanazione di atti urgenti che indichino ai servizi sanitari gli standard minimi da rispettare sul fronte del trattamento e della prevenzione dell’HIV/AIDS. Disponibilità è stata data anche a un provvedimento che garantisca più agibilità alle azioni di salute pubblica e di sostegno sociale svolte dalle associazioni, a partire dai servizi di testing, soprattutto a fronte della chiusura o della riduzione di questo servizio in molte strutture pubbliche del paese.
È una disponibilità che apprezziamo ma che per ora non ha avuto seguito. Attendiamo sviluppi positivi quanto prima, pena una grave compromissione della collaborazione istituzionale con Regioni e Ministero della Salute.
L’appello di UNAIDS
Alle istituzioni ricordiamo come le istanze da noi sollevate siano in piena sintonia con il documento UNAIDS che lancia la WAD 2020: “Solidarietà globale, responsabilità condivisa”. UNAIDS chiede in sostanza, a tutti gli Stati Membri, e quindi anche all’Italia, di prendere atto degli errori emersi con la pandemia e di farne occasione per ridisegnare la mission e le priorità dei servizi sanitari: garantire l’accesso universale alle cure, investire più risorse economiche nel servizio pubblico, coinvolgere e sostenere la società civile, combattere disuguaglianze e discriminazioni, promuovere il rispetto dei diritti umani, incluso, ovviamente quello alla salute. È indispensabile, inoltre, garantire un accesso universale ai vaccini anti-COVID per non ripetere le drammatiche ingiustizie commesse nella risposta all’HIV. Come ci ricorda ancora UNAIDS, milioni di persone nei paesi più poveri sono morte in attesa di cure e, tuttora, sono oltre dodici milioni coloro che non hanno accesso alle terapie ART, antiretrovirali.
“COVID-19 ha dimostrato –si legge nel documento UNAIDS- come durante una pandemia, nessuno sia al sicuro finché tutti non sono al sicuro. Lasciare indietro le persone non è un'opzione praticabile”.
Proprio sull’Agenda ONU 2030, sottoscritta anche dall’Italia, rischiamo, invece, un grave arretramento. L’obiettivo della sconfitta dell’AIDS entro il 2030 e di altre patologie come malaria, tubercolosi ed epatiti, rischia di non essere raggiunto senza un radicale cambio di direzione: “I primi segnali sono soprattutto di un crollo del ricorso al test –dice ancora Oldrini- il che potrebbe portare ad un’esplosione delle diagnosi tardive, già superiori in Italia, al 50% delle diagnosi annuali. Un altro forte timore riguarda la possibilità che molte persone, soprattutto le più fragili, possano aver interrotto le terapie con rischi evidenti per la loro salute e per la prevenzione generale. Il pericolo concreto è quello di creare un’invisibile ma vasta area di vittime collaterali del COVID”.
Poco da celebrare, dunque, in questo primo dicembre: ma la LILA sarà comunque a fianco di chiunque abbia bisogno di supporto. Dalle scorse settimane abbiamo attivato un servizio di aiuto a distanza per l’AutoTest acquistabile in farmacia mentre restano attivi i servizi d’informazione e counselling e quelli di sostegno alle persone con HIV che non possono muoversi.
Infine, per guardare al futuro imparando dalle lezioni del passato, vi invitiamo alla visione di “Nome di battaglia LILA”, docufilm sugli oltre trent’anni della nostra associazione. È una storia che racconta come l’attivismo e la solidarietà possano cambiare i rapporti di forza e imporre il primato dei diritti umani e della dignità delle persone sulle logiche del profitto, dell’esclusione sociale, della discriminazione.