Il trattamento di riparazione percutanea della valvola mitrale, senza l’utilizzo del bisturi, riduce il rischio di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco del 47% (35,8% vs 67,9%) rispetto alla terapia medica massimale.
I risultati dello studio - effettuato dal dr. Gregg W. Stone della Columbia University Medical Center di New York in 78 centri tra America e Canada su pazienti affetti da patologia della valvola mitrale - sono stati presentati pochi giorni fa al più grande congresso mondiale di cardiologia interventistica tenutosi a San Diego negli USA, il Transcatheter Cardiovascular Therapeutics (TCT) 2018. A presentare lo studio in Italia gli esperti di “Il Cuore Siamo Noi - Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus”, in occasione della Giornata Mondiale del Cuore che si inserisce nel percorso dell’iniziativa «25by25» dell’Oms: riduzione del 25% di mortalità precoce per le patologie non trasmissibili, come le malattie del cuore e dei vasi, e il diabete, entro il 2025.
La riparazione percutanea della valvola mitrale si effettua utilizzando un catetere che viene inserito dalla vena della gamba. Tale procedura è sicura dimostrando un tasso di libertà dalle complicanze legate al dispositivo del 96,6%. "I risultati di questo studio sono molto importanti e di grande impatto - afferma il Prof. Ciro Indolfi, Professore Ordinario di Cardiologia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro e Presidente Eletto della Società Italiana di Cardiologia - sia per i risultati ottenuti in un gruppo di pazienti ad alto rischio che prima di questo trial non avevano alternative terapeutiche, sia perché ha dimostrato che l’impianto di una Clip è una procedura sicura”.
Tra le iniziative presentate in occasione della Giornata Mondiale del Cuore per raggiungere l’obiettivo della riduzione del 25% della mortalità entro il 2025, anche “One Valve One Life”, il primo programma italiano promosso nel 2014 dal Prof. Francesco Romeo e dalla Società Italiana di Cardiologia che si propone di favorire una corretta informazione e la diffusione della terapia transcatetere delle valvulopatie e di garantire l’accesso a queste procedure salvavita a tutti i pazienti che necessitano di un intervento alle valvole cardiache. Basta considerare che pazienti sintomatici inoperabili a 6 mesi hanno una mortalità superiore al 50% e la terapia transcatetere potrebbe essere risolutiva.
“Questi pazienti, in assenza di intervento, hanno un’aspettativa media di vita di circa 2 anni - ha dichiarato il professor Francesco Romeo, Presidente Il Cuore Siamo Noi - Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus - Curare una valvola cardiaca significa salvare una vita. Oggi abbiamo evidenze scientifiche indiscutibili che le tecniche interventistiche percutanee mini-invasive costituiscono un’opzione terapeutica salvavita alternativa all’intervento cardiochirurgico convenzionale. Fino ad alcuni anni fa l’unica possibilità terapeutica nelle valvulopatie cardiache era l’intervento chirurgico per sostituire o, se possibile, riparare la valvola danneggiata, un’operazione ‘a cuore aperto’ molto invasiva, che non tutti i pazienti possono affrontare per età, malattie concomitanti, fragilità generale. Oggi è possibile impiantare la valvola per via percutanea anche ai pazienti a rischio intermedio, cioè quei pazienti che prima erano candidati all’intervento convenzionale di chirurgia a cuore aperto”.
Tutti questi enormi progressi hanno consentito un allungamento della vita media di circa 5-7 anni e si sommano a quelli già attenuti grazie alla prevenzione.
Particolare attenzione va prestata al contrasto dei fattori di rischio, primo fra tutti l’ipercolesterolemia. “L’ipercolesterolemia rimane largamente incontrastata nella popolazione generale che non ha mai avuto malattie cardiovascolari e perfino nei pazienti che hanno già sofferto un infarto o un ictus”, dichiara Pasquale Perrone Filardi, Presidente Finsic. “Oggi i valori da raggiungere sono sempre più bassi e abbiamo a disposizione nuovissime terapie ad altissima efficacia per combattere il colesterolo. Bisogna tuttavia sensibilizzare i pazienti e i medici al contrasto del colesterolo che, insieme al fumo, rimane il più importante fattore di rischio”.
“Nell'ambito della prevenzione delle malattie cardiovascolari è fondamentale un approccio integrato clinico-strumentale”, dichiara Scipione Carerj, Vice Presidente Il Cuore Siamo Noi - Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus. “I dati strumentali possono essere infatti di grande aiuto sia nella prevenzione primaria che secondaria. Sicuramente gli score clinici, con tutte le loro limitazioni, ci aiutano a fare un'iniziale stratificazione del rischio dei nostri pazienti, che in base alla probabilità di sviluppare eventi a 10 anni, vengono ad esempio suddivisi a basso rischio, a rischio intermedio, a rischio elevato o molto elevato. Un approccio integrato clinico-strumentale è molto importante in quanto consente, in molti pazienti, una riclassificazione del rischio. A tale fine le ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari, sottolineano l'importanza di alcune tecniche diagnostiche non invasive quali ad esempio l'ecografia carotidea, per lo studio delle placche carotidee; l'ABI o indice cavaglio braccio, che quando è patologico è espressione del burden aterosclerotico; la TC delle coronarie, per lo studio del calcium score e quindi dell'estensione delle calcificazioni coronariche.
Un importante ruolo è svolto anche dall'ecocardiogramma che permette di evidenziare alterazioni cardiache clinicamente silenti, in particolare in quei pazienti che presentano fattori di rischio per malattie cardiovascolari quali ad esempio l'ipertensione arteriosa, il diabete, il tabagismo, la dislipidemia, l'obesità etc. Nell'ambito della prevenzione secondaria, quando cioè un evento si è già verificato e si vuole scongiurare un nuovo pericolo, ci sono una serie di esami non invasivi che vanno dall'ecocardiogramma alla risonanza magnetica, dall'ecg da sforzo alla scintigrafia miocardica, fino alla TC, che consentono di stratificare la prognosi di questi pazienti in relazione all'entità del danno cardiaco subito e indirizzarli verso una ottimale condotta terapeutica”.
La prevenzione è una delle priorità anche della Società Italiana di Cardiologia (SIC), come spiega il Presidente Giuseppe Mercuro: “La Società Italiana di Cardiologia è la più antica delle Società Cardiologiche Italiane. Essa annovera tra i propri membri tutti i cardiologi impegnati nell'insegnamento e nella formazione, nelle università e negli ospedali. Custode della migliore tradizione cardiologica, la SIC è però in perenne rinnovamento e mira ad una cardiologia di precisione. Al centro, l’obiettivo di sviluppare la cultura della prevenzione, da iniziare ancora prima della nascita e da adattare alle diverse età, genere e profilo di rischio di ogni singolo individuo o paziente”.
In conclusione, l’appello della Fondazione: “Chiediamo che tutti, clinici, pazienti, istituzioni, si impegnino per raggiungere l’ambizioso obiettivo «25by25». ‘Make a promise’ - esorta il Presidente Francesco Romeo - tu, paziente, prometti di adottare stili di vita sani; tu, clinico, di impegnarti per migliorare sempre più le metodiche e la tempestività di intervento; tu, istituzione, di supportare al massimo la ricerca e favorire la disponibilità di risorse per la sempre maggiore soddisfazione dei bisogni dei pazienti”.