Intervento di Paola Chiambretto, neuropsicologa e responsabile del nucleo Alzheimer della residenza sanitaria assistenziale Villaggio Amico.
La comunicazione è un bisogno umano basilare, è la base di tutta l’organizzazione sociale. Il diritto di comunicare è essenziale per l’umanità e la violazione di esso de-umanizza la persona.
La maggioranza degli studi ha dimostrato il progressivo instaurarsi di un grave deficit semantico-lessicale, mentre è stata verificata la conservazione di capacità morfologiche- sintattiche, non misurabili in modo adeguato dato il progressivo impoverimento del contenuto informativo e il ricorso sempre più frequente a enunciati automatizzati. Nella fase finale della malattia la comprensione è impossibile, l’espressione spontanea è limitata e il malato comunica attraverso ecolalie e vocalizzazioni”.
L’anziano che non riesce a parlare correttamente “tende a isolarsi e deprimersi, prova frustrazione e sente venir meno la propria indipendenza. Nonostante i cambiamenti nella capacità comunicativa dovuta al deficit di linguaggio e a quello di memoria la persona con malattia di Alzheimer ha bisogno e deve avere la possibilità di comunicare con gli altri per mantenere la sua partecipazione alle attività di tutti i giorni”, continua la dottoressa. “Secondo studi americani, una persona ricoverata dedica solo il 2% del suo tempo a comunicare con il personale. Gli ospiti di una struttura passano poco tempo coinvolti in attività sociali. Solo il 12% della loro giornata è impegnata in attività sociali. È molto importante quindi coinvolgere maggiormente il malato nelle attività sociali quotidiane tese a migliorare la salute fisica, mentale, sociale ed emotiva, a sviluppare competenze per promuovere l’autostima, a facilitare l’espressione delle potenzialità residue, a migliorare l’attenzione e le capacità adattatative, a creare opportunità di interazione sociale e ad esprimere le proprie emozioni contrastando i sintomi negativi”.
“Al Villaggio Amico il personale è formato per creare situazioni di comunicazione e partecipazione del paziente in ogni momento della giornata, ad esempio coinvolgendo l’ospite nella scelta degli abiti da indossare o chiacchierando mentre ci si occupa dell’igiene personale o mentre si va alla sala ristorante. Il paziente è così sempre attivo protagonista, non solo durante le attività animate”, specifica la dottoressa. La struttura di Gerenzano conta venticinque operatori dedicati al reparto Alzheimer, che seguono i pazienti a partire dai sei momenti dedicati all’alimentazione (colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena, tisana o camomilla). In supporto alla medicina tradizionale, sono inoltre proposte una serie di terapie non-farmacologiche, tra cui: musicoterapia ambientale e di gruppo; laboratorio creativo giapponese, in collaborazione con un’insegnante d’arte orientale; Doll Therapy, per ottenere mediante l’ausilio di una bambola appositamente studiata un effetto rilassante e distensivo nel paziente distraendolo dal wandering e dal pensiero ossessivo; attività motoria di gruppo. E’ inoltre presente una Snoezelen Room, una stanza esperienziale pensata per offrire agli ospiti nuovi stimoli prevalentemente visivo favorendo il rilassamento e la tranquillità.
Come comunicare con la persona malata di Alzheimer?
“Non fare domande, non correggere, non interrompere ma ascoltare, accompagnare le parole con i gesti e sostenere la comunicazione – conclude Chiambretto -. È importante utilizzare frasi con un solo verbo, fare domande che non abbiano riferimento al passato recente, parlare a una velocità normale e senza enfatizzare eccessivamente l’intonazione, eliminare le distrazioni, gestire una conversazione su tema specifico e utilizzare strategie riparative quando si verificano fratture comunicative”.