Funzionano le campagne di informazione. In un anno è cresciuto il livello di conoscenza dei clinici: il 79% dà una definizione corretta dei farmaci simili ma non uguali all’originator (il 24% nel marzo 2013). L’attenzione per il contenimento della spesa resta alta. I biosimilari di anticorpi monoclonali richiedono approfondimenti su efficacia e sicurezza per i pazienti
Il 98% degli oncologi italiani utilizza i farmaci biotecnologici, efficaci contro la gran parte dei tumori. E l’88% è convinto che la decisione sulla sostituibilità con i biosimilari, prodotti simili ma non uguali ai più complessi originali biotech, debba essere di esclusiva competenza dell’oncologo. Per il 70% dei clinici l’estensione d’uso del biosimilare per indicazioni diverse da quelle contenute nel dossier registrativo potrebbe essere inadeguata, soprattutto per molecole quali gli anticorpi monoclonali, e ogni nuova indicazione terapeutica dovrebbe essere sottoposta a iter registrativo specifico. Molto sentito il tema dei tagli alla spesa sanitaria, che per il 91% (83% nel marzo 2013) pesano sulla capacità di curare al meglio i pazienti, con un incremento dell’8% in pochi mesi. I dati emergono dal sondaggio nazionale condotto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) a novembre e dicembre 2013 fra i propri soci, a cui hanno risposto 858 camici bianchi, presentato oggi a Milano in un incontro con i giornalisti. In 10 mesi il livello di conoscenza degli specialisti è cresciuto in maniera significativa. Nel marzo scorso infatti, nel primo sondaggio nazionale (su 508 campioni validi), solo il 24% sapeva esattamente cosa fossero i biosimilari, oggi il 79% ne dà una definizione corretta. È la testimonianza dell’efficacia della campagna di informazione svolta dalla società scientifica con il Tour (“Biosimilari da anticorpi monoclonali in oncologia. La sicurezza del paziente prima di tutto”) in nove Regioni nel corso del 2013. I risultati dei sondaggi regionali, realizzati nel corso delle nove tappe, sono disponibili sul sito biodrugsnews.net, promosso dall’AIOM. L’arrivo nei prossimi anni dei biosimilari di anticorpi monoclonali in oncologia richiede approfondimenti sulla loro efficacia e sicurezza per i pazienti. “Il 76% dei clinici – spiega il prof. Stefano Cascinu, presidente AIOM - ritiene che l’istituzione di un budget nazionale per l’oncologia possa favorire la programmazione sanitaria. Devono essere colte le opportunità per risparmiare risorse, per cui è importante promuovere un dibattito sul tema. Nel 2013 sono state registrate in Italia 366mila nuove diagnosi di cancro e circa 173mila decessi. È identica la percentuale (44%) di oncologi che ritengono che i biosimilari di anticorpi monoclonali possano favorire il contenimento dei costi e di coloro che sostengono invece sia più utile cercare margini di risparmio in altre voci di spesa. Per il 71% (65% nel marzo 2013) i nuovi biosimilari sono più complessi di quelli attualmente disponibili, richiedono processi di vigilanza più accurati e appositi registri e studi clinici con endpoint validati. Una variazione, anche minima, apportata a qualsiasi passaggio del processo produttivo, può avere conseguenze importanti”. In particolare l’immunogenicità, cioè la capacità di indurre una reazione immunitaria nell’organismo, potrebbe risultare maggiore nel biosimilare rispetto all’originator, costituendo un problema nell’analisi del rapporto rischio/beneficio e mettendo in discussione la biosimilarità.
“Un altro aspetto critico – afferma il prof. Carmine Pinto, presidente eletto AIOM - è costituito dall’estensione d’uso dei biosimilari per indicazioni diverse da quelle contenute nel dossier registrativo. Per la maggioranza dei clinici potrebbe essere inadeguata. Promuovere informazione e cultura sui biosimilari di anticorpi monoclonali rappresenta l’azione più importante che una società scientifica come l’AIOM deve intraprendere su un tema così delicato, come sottolineato dal 59% degli intervistati. Il 21% ritiene fondamentale collaborare con le Istituzioni sanitarie per regolamentare il settore e il 18% verificare e trasmettere a tutti i soci gli studi clinici che hanno portato alla registrazione di questi farmaci”. “Sarebbe auspicabile la continuità terapeutica per ogni paziente già in trattamento con l’originator - sottolinea l’Avv. Elisabetta Iannelli, segretario FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. La sostituibilità può essere accettata solo con il consenso informato del paziente e non per motivazioni di carattere economico. In ogni caso i pazienti devono essere informati, prima del trattamento, della differenza tra originario e biosimilare. L’utilizzo di questi farmaci, considerando il numero di terapie anticancro ad alto costo il cui brevetto scadrà nei prossimi anni, potrebbe permettere una razionalizzazione della spesa sanitaria, con la disponibilità di risorse economiche per i nuovi trattamenti innovativi”.
Per il 66% degli intervistati (62% nel marzo 2013) le maggiori criticità legate all’uso dei farmaci simili (ma non uguali) agli originator derivano dal fatto che possono funzionare in maniera differente rispetto al medicinale di riferimento e per il 19% dal diverso grado di immunogenicità. Anche per i biosimilari la procedura di approvazione è centralizzata a livello europeo. Il dossier registrativo viene analizzato dal CHMP (Committee for Medicinal Products for Human Use) e l’EMA (European Medicines Agency) rilascia l’autorizzazione all’immissione in commercio, che risulta vincolante per ogni Stato membro. “La procedura – continua il prof. Michele Carruba, Direttore del Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia medica all’Università di Milano - è molto diversa da quella necessaria per l’introduzione sul mercato di un generico. Le linee guida dell’EMA stabiliscono infatti che è necessario condurre studi clinici mirati per dimostrare la sovrapponibilità dell’azione biologica di un biosimilare con quella dell’originator. Il generico è la copia di un farmaco di sintesi chimica, il cui processo di produzione è standardizzato e costantemente riproducibile, grazie alle metodiche analitiche disponibili. I farmaci biologici hanno dimensioni da 100 a 1000 volte maggiori di quelli di sintesi e una struttura molecolare più complessa: ogni fase produttiva è di difficile riproducibilità, perché possono subire modifiche che ne indirizzano l’attività biologica. Il principio attivo del biosimilare è analogo, ma non identico a quello contenuto nell’originatore. La complessità del metodo di produzione dei medicinali biologici ne determina, infatti, differenze qualitative e quantitative (contenuto, potenza, microeterogenicità, immunogenicità). In misura molto superiore ai farmaci a basso peso molecolare, la qualità del prodotto finale (incluse efficacia e sicurezza) dipende dal processo di fabbricazione. Da qui l’importanza dell’esercizio di confronto (comparability exercise) richiesto per la commercializzazione.
Le differenze tra originator e biosimilare possono essere tanto maggiori quanto più complessa è la struttura della molecola, ad esempio nel caso dei biosimilari di anticorpi monoclonali. Ecco perché le attività di sorveglianza postmarketing sono cruciali”. Va infatti ricordato che questi prodotti sono sottoposti a monitoraggio intensivo da parte dell’AIFA per 5 anni dalla commercializzazione. L’agenzia regolatoria italiana, nel Position Paper del 13 maggio 2013, chiarisce che biologici e biosimilari non possono essere considerati equivalenti, escludendone quindi la sostituibilità automatica. Proprio perché i biosimilari sono simili, ma non identici agli originatori, l’AIFA ha deciso di non includerli nelle liste di trasparenza, che consentono la sostituibilità automatica tra equivalenti. Di conseguenza, la scelta fra il biologico di riferimento e il biosimilare spetta allo specialista prescrittore. “La biosimilarità non si estende agli altri prodotti biologici basati sullo stesso principio attivo, poiché è dimostrata solo rispetto allo specifico biotech di riferimento – conclude il dott. Stefano Federici, farmacista all’Ospedale di Circolo di Melegnano -. Qualsiasi variazione, anche minima, apportata a un passaggio durante il processo produttivo può esercitare un effetto critico su efficacia e sicurezza cliniche”.