Non si è mai troppo vecchi per diventare celiaci. Pane, pasta e pizza possono diventare nostri “nemici” anche da anziani perché la celiachia si sviluppa sempre più spesso in età adulta o perfino avanzata: lo dimostrano i risultati di un ampio studio epidemiologico condotto da ricercatori italiani del Center for Celiac Research dell'università di Baltimora, negli Stati Uniti, in collaborazione con l'università Politecnica delle Marche di Ancona, la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, il Women & Children’s Hospital di Buffalo ed il Quest Diagnostics Inc. di San Juan Capistrano in California.
I dati, pubblicati sulla rivista Annals of Medicine, sono stati ottenuti su 3500 cittadini americani di cui i ricercatori conservavano campioni di sangue raccolti nel 1974, quando già tutti erano entrati nell'età adulta; gli stessi soggetti sono stati analizzati poi a quindici anni di distanza, nel 1989. “Il numero di persone con marcatori sierologici positivi per celiachia è raddoppiato in quindici anni, passando da un caso su 501 nel 1974 a uno ogni 219 nel 1989: soggetti che al primo test erano risultati negativi alla celiachia, quindi, avevano sviluppato l'intolleranza negli anni successivi – spiega il coordinatore della ricerca Alessio Fasano, direttore dell’University of Maryland’s Mucosal Biology Research Center e del Celiac Research Center –.Questi dati dimostrano anche che la frequenza di celiachia è in costante aumento: nel 2003 abbiamo verificato che il numero di pazienti con intolleranza al glutine è salito a un caso ogni 133”. “I nostri dati mostrano che all’aumentare dell’età l’incidenza di celiachia cresce in parallelo – interviene Carlo Catassi dell'Università Politecnica delle Marche ad Ancona, condirettore del Center for Celiac Research e membro della Fondazione Celiachia – Questi risultati confermano dati precedenti raccolti in Finlandia, secondo cui la frequenza di celiachia negli anziani è almeno due volte e mezzo superiore rispetto a quella della popolazione generale, e ribaltano il concetto diffuso secondo cui la perdita di tolleranza nei confronti del glutine avvenga per lo più nell'infanzia: non si nasce necessariamente celiaci, la malattia può manifestarsi a qualsiasi età”.
La celiachia è una patologia autoimmune scatenata dal consumo di glutine, proteina presente nel grano, orzo e segale. I sintomi classici sono la diarrea, il gonfiore intestinale e i dolori addominali, ma spesso si manifesta con sintomi atipici come dolori articolari, stanchezza cronica e depressione rendendo difficoltosa la diagnosi: se non riconosciuta, l'intolleranza al glutine può causare malassorbimento di nutrienti, danno dell’intestino e altre complicanze. “Anche se un soggetto possiede i geni che lo predispongono alla celiachia, sviluppare una malattia autoimmune non è un destino ineluttabile - riprende Fasano - Il nostro studio suggerisce che alcuni fattori ambientali possano alterare la risposta immunitaria causando la perdita della tolleranza al glutine: avendo seguito nel tempo gli stessi soggetti, non è ovviamente possibile che lo sviluppo tardivo della celiachia dipenda da fattori genetici”. “I fattori ambientali che potrebbero avere un ruolo nella comparsa dell'intolleranza al glutine sono numerosi – aggiunge Catassi – E' probabile che sia implicato il miglioramento delle condizioni igieniche nei Paesi sviluppati, che potrebbe alterare la capacità di risposta immunitaria dell'organismo. In alternativa, potrebbe avere un ruolo l'aumento del consumo di prodotti contenenti glutine; l'ipotesi più probabile, al momento, pare però la presenza sul mercato di cereali molto ricchi di frammenti tossici di glutine. Negli anni il numero di varietà di grano disponibili sul mercato è molto diminuito, per di più il frumento è stato anche modificato per migliorarne la resa: è possibile che tutto questo abbia dato luogo a varietà di grano più tossiche, oggi di fatto preponderanti sul mercato”.
L’identificazione e la “manipolazione” dei fattori ambientali che giocano un ruolo nello sviluppo dell'intolleranza al glutine potrebbe aprire la strada a nuove strategie di trattamento e prevenzione della celiachia e di altre patologie autoimmuni come il diabete di tipo uno, l’artrite reumatoide e la sclerosi multipla.
“I nuovi dati gettano una nuova luce sulla celiachia, una malattia complessa che continua a rappresentare una sfida per il medico e per il paziente: pur avendo individuato marcatori genetici specifici della celiachia, resta infatti tuttora un mistero come e perché i pazienti perdano la tolleranza al glutine - interviene Umberto Volta, Presidente del Comitato Scientifico Nazionale dell’Associazione Italiana Celiachia - Io stesso ho verificato l’insorgenza tardiva di malattia celiaca in familiari di primo grado di celiaci, regolarmente negativi allo screening sierologico per celiachia per tutta la vita, diventati positivi all’età di 70 anni”.
“Tutto questo ha un'importante conseguenza sul piano pratico e clinico: significa che non bisogna mai abbassare la guardia, facendo screening di celiachia anche e soprattutto nell'anziano”, aggiunge Elisabetta Tosi, Presidente dell'Associazione Italiana Celiachia. “Un test negativo non dà la certezza che non si svilupperà la celiachia per tutta la vita. Soprattutto nei casi a rischio, ad esempio in chi ha in famiglia casi di celiachia o soffre di diabete di tipo uno, è opportuno ripetere il test ogni due o tre anni; è consigliabile farlo anche se si è risultati negativi al test ma ci sono sintomi che possano indurre al sospetto di celiachia”, conclude Catassi.