Salute H24

Prevenar 13* Pneumococcal Vaccine for infants and young children in the world’s poorest countries

Pfizer Inc. announced it has signed a 10-year Provisional Supply Agreement to supply Prevenar 13* (Pneumococcal Polysaccharide Conjugate Vaccine [13-valent, adsorbed]), the company’s 13-valent pneumococcal conjugate vaccine, for infants and young children in the world’s poorest countries under the terms of the Advance Market Commitment (AMC) pilot project against pneumococcal disease. The AMC is a novel public-private approach to public health funding designed to create a sustainable marketplace, ensure a stable supply of pneumococcal vaccines and stimulate the development and expansion of manufacturing capacity of vaccines specifically for the world’s poorest countries. 

“Pfizer is dedicated to broadening access around the world to our medicines, and public-private partnerships such as the one involving the AMC are critical to achieving true inroads on this front,” says Jeffrey Kindler, chairman and chief executive officer of Pfizer Inc. “Last year, working with GAVI, we contributed the first pneumococcal conjugate vaccine used in a national immunization program in the developing world, and we are proud to extend our commitment even further to young children in the world’s poorest countries by participating in the AMC.” The agreement is the final step in the AMC procurement process which is administered by the United Nations Children’s Fund (UNICEF) and supported by GAVI. The agreement is subject to prequalification by the World Health Organization and AMC eligibility designation, which are both expected later this year. Under the terms of the agreement, the price of the pneumococcal conjugate vaccine under the AMC framework is $7.00 for the first several years. The vaccine price will include a $3.50 subsidy to be paid by the AMC donor fund, and $3.50 to be paid by GAVI with a co-financing contribution paid by the developing country governments that introduce the vaccine. Importantly, under the current AMC framework, participating vaccine manufacturers must make a binding commitment to supply vaccine for 10 years at a maximum “tail” price of $3.50 per dose to meet long-term demand and ensure affordability of the vaccine in developing countries even after the donor contributions are exhausted. 

“I applaud the groundbreaking milestone achieved today by vaccine manufacturers, developing country governments, donors, the World Bank, and the GAVI Alliance that has made the most advanced pneumococcal conjugate vaccines available to the world's neediest young children at affordable prices and faster than ever before,” says Orin Levine, executive director, International Vaccine Access Center at Johns Hopkins University. ”This year, the Advance Market Commitment will begin helping to save lives and improve the health of infants and young children in Africa.”

VIDEO: BINOMIO VINCENTE DONNA E SPORT. LA PROF.SSA GRAZIOTTIN PRESENTA SCEGLI TU DI VINCERE.

   

La Professoressa Alessandra Graziottin presenta il progetto Scegli tu di Vincere, nato dalla collaborazione fra SIGO e le maggiori atlete italiane.

VIDEO SCEGLI TU DI VINCERE: INTERVISTA PROF. GIORGIO VITTORI (SIGO)

   

Il Professor Giorgio Vittori, Presidente della Società Italiana di ginecologia e ostetricia (SIGO) parla dell'importanza di fare leva sulle giovani ragazze per la loro voglia di vincere. Visita il sito www.sceglitudivincere.it

Campagna “Io ho il Glaucoma...ma tu evitalo”

Sono tanti gli italiani residenti nel nostro paese o all’estero a temere il glaucoma, malattia tra le più serie a carico dell’occhio e seconda causa di cecità al mondo.

Nel mese di marzo la campagna informativa lanciata tramite web dall’associazione Per Vedere Fatti Vedere ha registrato oltre 25.000 accessi ed è stata cliccata anche dagli italiani residenti all’estero.

La onlus Per Vedere Fatti Vedere ha quindi deciso di proseguire la propria azione informativa e organizzerà persino un incontro aperto al pubblico a Roma il 22 maggio in occasione del Congresso Internazionale della Società Oftalmologica Italiana (Hotel Rome Cavalieri).

“Il grido di allarme lanciato da Per Vedere Fatti Vedere onlus ai primi di marzo, in occasione della settimana mondiale di lotta al glaucoma, ha raggiunto -commenta soddisfatto il Prof Pasquale Troiano, Presidente della onlus- il suo obiettivo di allertare gli Italiani over 45, e in particolare quelli a rischio, in tema di glaucoma. Questo è molto importante visto che recenti statistiche evidenziano che, a fronte di 500.000 italiani già diagnosticati e sotto terapia, ce ne sono altrettanti che non sanno di averlo mentre “lui” sta silenziosamente rubando loro la vista. Quando se ne accorgeranno almeno il 40% della loro capacità visiva sarà irrimediabilmente perduta con gravi conseguenze dal punto di vista lavorativo, sociale e familiare”.

L’area del sito della onlus www.pervederefattivedere.it interamente dedicata al glaucoma, con informazioni, interviste online con Medici Oculisti specializzati, la presentazione di un nuovo apparecchio per l’auto misurazione della pressione oculare a domicilio e un regalo da scaricare gratis, è stato visitato da una media di 800/850 pazienti ogni giorno, non solo dall’Italia ma persino da nostri connazionali residenti all’estero, come ad esempio un ingegnere italiano che lavora in Canada, a cui è stata fatta lì diagnosi di glaucoma, e che vuole rientrare nel nostro Paese per una conferma, fidandosi di più del SSN e degli Oculisti nostrani. Gli elevati accessi al sito e alla campagna sono stati ancora una volta possibili grazie al Google Grant offerto dal colosso americano Google che continua a concedere alla onlus pubblicità gratuita sul suo motore di ricerca.

L’area del sito è stata invece realizzata grazie al contributo di tre sponsor: Visufarma, Merck Sharp & Dohme e Icare One, distribuito da Espansione srl.

Visto il grande interesse verso la Campagna sul glaucoma, Per Vedere Fatti Vedere onlus ha deciso di farla proseguire fino al 22 Maggio, data in cui organizzerà a Roma (Hotel Rome Cavalieri), durante il Congresso della Società Oftalmologica Italiana, un incontro gratuito aperto a tutti i pazienti con glaucoma e maculopatia che potranno incontrare e fare domande a un panel di Medici Oculisti specializzati nella cura delle due patologie che purtroppo sono destinate a incidere sempre di più nella vita della nostra società dai “capelli bianchi”.  

Per Vedere Fatti Vedere onlus è stata fondata dalla Società Oftalmologica Italiana SOI e offre, a chi è colpito da glaucoma o maculopatia, informazioni, orientamento alle strutture italiane specializzate, sostegno psicologico, aggiornamenti sulla ricerca medica e tutela dei diritti. Ha prodotto la prima Carta Italiana dei Diritti dei Pazienti con glaucoma e maculopatia e lo scorso anno ha ottenuto la sospensione della presentazione del piano terapeutico per il rimborso dei farmaci anti-glaucoma (Nota 78 AIFA) semplificando la vita alle centinaia di migliaia di pazienti che ne sono affetti. 

Per contatti  Per Vedere Fatti Vedere onlus 

tel. 06-44361575 mail

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UN VOLUME SUI DRG IN ITALIA. PRESENTAZIONE A FIRENZE

"I Drg in Italia: un successo o una occasione mancata?", è il titolo del volume a cura di Nicola Falcitelli (Direttore Centro studi della Fondazione Smith Kline - Roma), Tommaso Langiano (Direttore generale AOU Meyer - Firenze) e Marco Trabucchi (professore Ordinario - Fondazione Smith Kline) - edito da Il Mulino -, che i curatori presenteranno martedì 13 aprile alle ore 17 presso l'Aula Magna dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze. L'incontro sarà presieduto da Gianfranco Gensini, Preside della Facoltà di Medicina dell'Università di Firenze. Interverrà, oltre ai curatori, Aldo Ancona, Dirigente della Regione Toscana. Il volume che verrà presentato è il terzo realizzato dagli autori sulla tematica dei DRG, (Diagnosis Related Groups) il sistema di finanziamento che è stato una novità veramente rilevante non tanto per gli aspetti strettamente economico-finanziari, quanto piuttosto per le conseguenze che ha determinato sull’organizzazione dell’ospedale. 

Infatti i DRG hanno innescato una vera e propria rivoluzione culturale, modificando o comunque inserendo nuove prospettive su cui applicare le cure e le modalità di erogazione delle stesse. Il sistema ha suscitato grandi polemiche fin dalla sua introduzione: guardato agli inizi con sospetto soprattutto dalla classe medica, ha visto quasi sempre sottolineare i problemi e gli aspetti negativi e oscurare, invece, molto spesso i contributi positivi che esso ha portato nel definire in termini clinici ed economici il “prodotto” dell’ospedale. Il volume vede la luce quando ”la diffidenza se non addirittura l’ostilità iniziale da parte dei professionisti sembra superata” e, ritenendo difficile pensare che si possa abbandonare il sistema di remunerazione delle prestazioni di ricovero a DRG, si propone di offrire alla riflessione alcune prospettive per superare le criticità che si sono presentate e che qualche volta hanno mostrato fenomeni eclatanti.". 

Drg, i volumi precedenti. Sulle prestazioni a tariffa la Fondazione Smith Kline ha dedicato due dei suoi volumi. Il primo nel 2004 "Politiche innovative nel SSN: i primi dieci anni dei DRG in Italia”, che ha rappresentato una analisi delle modalità con le quali si è sviluppata nei diversi contesti regionali la remunerazione a prestazione delle attività ospedaliere. Il secondo, nel 2006, ha riguardato "La remunerazione di (tutte) le attività sanitarie", cercando di spiegare l'origine dell'introduzione del sistema di pagamento a prestazione e individuando il significato - anche politico - che esso ha assunto nel tempo attraverso le non poche precisazioni legislative di volta in volta intervenute. Ora, sempre dai tipi de "Il Mulino", è edito "I DRG IN ITALIA: UN SUCCESSO O UNA OCCASIONE MANCATA?'" a cura di Nicola Falcitelli, Tommaso Langiano, Marco Trabucchi.

ENDOMETRIOSI: DIAGNOSI, CURA E INFERTILITA'. CONVEGNO A VERONA

Si è tenuto a Verona il Congresso '“Vivere con l’'Endometriosi – Possiamo curarla insieme: molti specialisti una meta'”, presieduto dal Dottor Luca Minelli, Direttore del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale “Sacro Cuore –Don Calabria” di Negrar - Verona. Durante l'’incontro scientifico esperti europei di endometriosi si sono confrontati sulla patologia al fine di contribuire a migliorare il management clinico e sociale delle donne che ne sono affette attraverso un approccio multidisciplinare che preveda l’attivo coinvolgimento di più figure specialistiche.
L'’endometriosi profonda è una delle patologie ginecologiche più frequenti che colpisce3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 5,5 milioni nel Nord America; secondo l’'Organizzazione Mondiale della Sanità si parla di 150 milioni di pazienti al mondo. Colpisce maggiormente le donne in età riproduttiva tra i 26 e i 35 anni e vienediagnosticata, mediamente, con un ritardo di 7 anni dall’'insorgenza (Fonte: Ministero della Sanità Italiana).   Il meccanismo di questa patologia riguarda le cellule dell’'endometrio, la mucosa che riveste la cavità uterina che si localizzano al di fuori dell'’utero, più frequentemente nell’addome, sotto forma di cisti o noduli che possono interessare le tube, le ovaie e l’intestino. Ogni mese queste cellule subiscono le modificazioni tipiche dell’endometrio: crescono e poi si sfaldano durante il ciclo mestruale causando, spesso, forti dolori pelvici e irregolarità mestruali.   Il trattamento per la cura nella maggior parte dei casi è chirurgico e va individuato di volta in volta valutando l’intero quadro clinico della paziente: l’obiettivo è eliminare la patologia ma anche preservare la funzione riproduttiva e, al contempo, garantire una buona qualità di vita della donna.   “"In questi ultimi anni, nel nostro reparto abbiamo trattato chirurgicamente circa 10.000 donne affette da endometriosi severa– - ha dichiarato il Dottor Minelli –- e posso affermare che la tecnica chirurgica da noi utilizzata permette l'’asportazione radicale di tutti i focolai di endometriosi con  il ripristino di una normale anatomia anche nelle situazioni più complesse, con il conseguente recupero, per l’'80% delle pazienti, di una normale vita  sociale e lavorativa e con un recupero della capacità  riproduttiva del 55%. Un risultato significativo –- ha concluso Minelli - raggiunto anche grazie ai sofisticati strumenti diagnostici che impieghiamo e che ci permettono di individuare e circoscrivere le zone malate lasciando intatte quelle sane e non danneggiando strutture nervose ed organi vitali".”   L'’endometriosi non solo è accompagnata da sintomi molto dolorosi, talvolta così severi da risultare invalidanti, ma spesso è anche causa di infertilità: il 35% delle pazienti con infertilità presenta endometriosi e dal 30 al 50% delle pazienti con endometriosi presenta problemi di infertilità (Fonte: CRAIG,WILLIAM 2002).   Dati recenti hanno evidenziato come il trattamento chirurgico dell’endometriosi nei primi stadi della malattia ha permesso un aumento delle probabilità di gravidanza pari al 38%; negli stati avanzati della malattia, invece, non esiste un’univocità di comportamento e occorre valutare con attenzione quale trattamento proporre tra chirurgia o fecondazione in vitro (Fonte: Marcoux  1997).	I numeri dell’ Endometriosi               Cos’è l’'endometriosi               Il trattamento           Luca Minelli                           Endometriosi e infertilità
Nel corso del Convegno si è discusso a lungo anche di Adenomiosi, ossia della presenza di tessuto endometriale all’interno del muscolo uterino. In passato, questa patologia è stata poco studiata nelle donne giovani perché generalmente riscontrata nell’'età della menopausa, quando è spesso causa dell’'asportazione dell’utero.   Negli ultimi anni, invece, si è riscontrato come l’'endometriosi pelvica sia, nel 50% dei casi, associata alla presenza di adenomiosi: l’introduzione dell’'ecografia transvaginale e, ancora di più, la risonanza magnetica hanno permesso una diagnosi precoce di questa patologia attraverso la valutazione dello spessore della zona giunzionale uterina, cioè dello strato interno dell’endometrio subito al di sotto dello strato muscolare dell’utero, che nelle donne con adenomiosi risulta più sottile. L’'adenomiosi può essere responsabile anche di sterilità, sia per l’alterazione del trasporto spermatico intrauterino che per difficoltà dell'’impianto dell’embrione   “Ad oggi, non esiste una cura risolutiva per l’adenomiosi – ha affermato la Dottoressa Paola Pomini, Dirigente di Primo Livello Ospedale “Sacro Cuore Don Giovanni Calabria” di Verona - e non sono ancora chiari i meccanismi attraverso il quale questa patologia provochi infertilità. Da numerosi dati appare sempre più importante una  diagnosi precoce della malattia ed il trattamento chirurgico presso personale specializzato,  in modo tale da cercare di ridurre il rischio di recidiva o il coinvolgimento di organi vitali.   In una review della Cochrane del 2009 sulle terapie alternative per la cura dell’'endometriosi, si è posto l'’accento sulla medicina cinese confrontandola con quella tradizionale. Dai primi dati raccolti sembra evidente come la medicina cinese ottenga dei risultati sulla sintomatologia buoni e, addirittura, migliori rispetto alla medicina tradizionale. Tali dati necessitano ancora di studi ma i primi riscontri sembrano promettenti.

Easter: chocolate reduces blood pressure and risk of heart disease

Easter eggs and other chocolate may be good for you – at least in small quantities and preferably if it’s dark chocolate – according to research that shows just one small square of chocolate a day can lower your blood pressure and reduce your risk of heart disease. The study is published online Wednesday 31 March in the European Heart Journal [1]. Researchers in Germany followed 19,357 people, aged between 35 and 65, for at least ten years and found that those who ate the most amount of chocolate – an average of 7.5 grams a day – had lower blood pressure and a 39% lower risk of having a heart attack or stroke compared to those who ate the least amount of chocolate – an average of 1.7 grams a day. The difference between the two groups amounts to six grams of chocolate: the equivalent of less than one small square of a 100g bar. Dr Brian Buijsse, a nutritional epidemiologist at the German Institute of Human Nutrition, Nuthetal, Germany, who led the research said: “People who ate the most amount of chocolate were at a 39% lower risk than those with the lowest chocolate intakes. To put it in terms of absolute risk, if people in the group eating the least amount of chocolate (of whom 219 per 10,000 had a heart attack or stroke) increased their chocolate intake by six grams a day, 85 fewer heart attacks and strokes per 10,000 people could be expected to occur over a period of about ten years. If the 39% lower risk is generalised to the general population, the number of avoidable heart attacks and strokes could be higher because the absolute risk in the general population is higher.”[2] However, he warned that it was important people ensured that eating chocolate did not increase their overall intake of calories or reduce their consumption of healthy foods. “Small amounts of chocolate may help to prevent heart disease, but only if it replaces other energy-dense food, such as snacks, in order to keep body weight stable,” he said. The people in the study were participants in the Potsdam arm of the European Prospective Investigation into Cancer (EPIC). They received medical checks, including blood pressure, height and weight measurements at the start of the study between 1994-1998, and they also answered questions about their diet, lifestyle and health. They were asked how frequently they ate a 50g bar of chocolate, and they could say whether they ate half a bar, or one, two or three bars. They were not asked about whether the chocolate was white, milk or dark chocolate; however, the researchers asked a sub-set of 1,568 participants to recall their chocolate intake over a 24-hour period and to indicate which type of chocolate they ate. This gave an indication of the proportions that might be expected in the whole study. In this sub-set, 57% ate milk chocolate, 24% dark chocolate and 2% white chocolate. In follow-up questionnaires, sent out every two or three years until December 2006, the study participants were asked whether they had had a heart attack or stroke, information which was subsequently verified by medical records from general physicians or hospitals. Death certificates from those who had died were also used to identify heart attacks and strokes. The researchers allocated the participants to four groups (quartiles) according to their level of chocolate consumption. Those in the top quartile, eating around 7.5g of chocolate a day, had blood pressure that was about 1mm Hg (systolic) and 0.9mm Hg (diastolic) lower than those in the bottom quartile. [3] 

 “Our hypothesis was that because chocolate appears to have a pronounced effect on blood pressure, therefore chocolate consumption would lower the risk of strokes and heart attacks, with a stronger effect being seen for stroke,” explained Dr Buijsse. This is, in fact, what the study found. During the eight years there were 166 heart attacks (24 fatal) and 136 strokes (12 fatal); people in the top quartile had a 27% reduced risk of heart attacks and nearly half the risk (48%) of strokes, compared with those in the lowest quartile. The researchers found lower blood pressure due to chocolate consumption at the start of the study explained 12% of the reduced risk of heart attacks and strokes, but even after taking this into account, those in the top quartile still had their risk reduced by a third (32%) compared to those in the bottom quartile over the duration of the study. Although more research needs to be carried out, the researchers believe that flavanols in cocoa may be the reason why chocolate seems to be good for people’s blood pressure and heart health; and since there is more cocoa in dark chocolate, dark chocolate may have a greater effect. “Flavanols appear to be the substances in cocoa that are responsible for improving the bioavailability of nitric oxide from the cells that line the inner wall of blood vessels – vascular endothelial cells,” said Dr Buijsse. “Nitric oxide is a gas that, once released, causes the smooth muscle cells of the blood vessels to relax and widen; this may contribute to lower blood pressure. Nitric oxide also improves platelet function, making the blood less sticky, and makes the vascular endothelium less attractive for white blood cells to attach and stick around.” The authors of the study conclude: “Given these and other promising health effects of cocoa, it is tempting to indulge more in chocolate. Small amounts of chocolate, however, may become part of a diet aimed to prevent CVD [cardiovascular disease] only after confirmation by other observational studies and particularly by randomized trials.” Commenting on the research on behalf of the European Society of Cardiology (ESC), Frank Ruschitzka, Professor of Cardiology, Director of Heart Failure/Transplantation at the University Hospital Zurich, Switzerland, and a Fellow of the ESC, said: “Basic science has demonstrated quite convincingly that dark chocolate particularly, with a cocoa content of at least 70%, reduces oxidative stress and improves vascular and platelet function. However, before you rush to add dark chocolate to your diet, be aware that 100g of dark chocolate contains roughly 500 calories. As such, you may want to subtract an equivalent amount of calories, by cutting back on other foods, to avoid weight gain.” 

[1] “Chocolate consumption in relation to blood pressure and risk of cardiovascular disease in German adults.” European Heart Journal. doi:10.1093/eurheartj/ehq068.
[2] Examples of absolute risk are given here to help with understanding the findings; however, the study itself only reports relative risk.
[3] mm Hg = millimetres of mercury (the measure for blood pressure). 

Systolic = when the heart’s ventricles contract.
Diastolic = when the ventricles relax.
The normal blood pressure for a healthy adult is around 120/80.
 

Centro cura del piede del diabetico h24 all'Istituto Clinico Città Studi – ICCS di Milano

Nel 2025 i diabetici nel mondo saranno 350 milioni: una vera e propria epidemia, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Europa ne soffre il 5% della popolazione con punte del 12% nei Paesi del Nord. Quasi due pazienti su 10 (15%) svilupperanno una lesione ulcerativa del piede, che nell’85% dei casi precede un’amputazione di gamba o di coscia. Secondo le stime, in Italia il 5% della popolazione soffre di diabete. Ogni anno è colpito da lesioni ulcerative del piede l’1,5% dei pazienti con diabete. 

 “Quando parliamo di piede del diabetico – spiega il prof. Carlo Caravaggi, che dirige il centro per la cura del piede diabetico presso l’Istituto Clinico Città Studi – ICCS – Milano – non ci riferiamo esclusivamente al piede che presenta ormai delle ulcere o vari gradi di infezione, ma anche a quelle condizioni preulcerative che pongono il piede a rischio di insorgenza di queste lesioni. Se non curata per tempo, questa complicanza ha conseguenze estremamente importanti per la vita del paziente. E ancora troppo spesso, molti diabetici arrivano al nostro centro passando dal Pronto Soccorso, quando la patologia è in fase così avanzata da non permettere un trattamento conservativo, reso possibile invece dalla diagnosi precoce”. Il Centro Interdipartimentale del Piede Diabetico dell’ICCS Milano, attivato nel 2009, è uno dei centri di riferimento a livello italiano dove si visitano, in media, 40 persone al giorno. Ad oggi sono stati effettuati circa 500 interventi. Il reparto è composto da 27 letti di degenza ordinaria. Il Centro dispone inoltre di una sala operatoria dedicata 24 ore su 24. I ricoveri possono avere sia carattere di elezione per interventi programmati che carattere di urgenza per il paziente che giunge direttamente dal Pronto Soccorso dell’ICCS o da altri ospedali ed ambulatori del piede diabetico. Il paziente può essere inviato al Centro direttamente dal proprio medico di famiglia o da colleghi di altri ambulatori o ospedali. L’equipe prevede inoltre una doppia reperibilità chirurgica che permette di effettuare interventi chirurgici in urgenza, in caso di infezioni severe del piede, 24 ore su 24, diventando così un centro di riferimento per il Pronto Soccorso. 

 Ma quali sono i primi campanelli d’allarme che il diabetico non deve sottovalutare? Una sensazione di “formicolio o di punture di spillo” sia ai piedi che alle gambe, prevalentemente nelle ore notturne, tanto da interferire con un sonno tranquillo. Quando viene perduta la sensibilità del piede, il cammino può risultare difficoltoso ed incerto. Talvolta sulla pianta del piede possono comparire delle callosità non dolenti, e quindi non avvertite dal paziente, che tendono, se non curate, a trasformarsi in lesioni ulcerative. Anche una calzatura stretta o un chiodo all’interno di una calzatura possono produrre delle ulcere del piede proprio per la mancanza della sensibilità al dolore. “Questi sono infatti gli effetti della neuropatia, – continua Caravaggi - alla quale si possono aggiungere quelli della vascolopatia, che causa un sostanziale restringimento delle arterie che portano il sangue ai piedi. Nelle condizioni più avanzate la quantità di sangue non è più sufficiente a nutrire la cute dei piedi che diventa più sottile e meno resistente anche ai minimi traumi”. Uno dei sintomi classici della vascolopatia è la comparsa di dolore ai polpacci dopo un periodo di cammino più o meno lungo o addirittura a riposo. Purtroppo a causa della coesistenza della neuropatia con perdita della sensibilità al dolore questo campanello d’allarme non è avvertito in circa il 50% dei pazienti. Il dolore, quando è presente, indica che il muscolo della gamba non riceve una quantità di sangue sufficiente durante la marcia o, nei casi più gravi, anche a riposo. “Il paziente diabetico che avverte questi sintomi deve rivolgersi immediatamente al medico. Una diagnosi precoce, che può essere effettuata con una semplice visita, consente infatti di attuare semplici interventi, come la rimozione di una callosità o l’uso di calzature idonee, che portano ad una netta riduzione del rischio di complicanza”. 

Anche quando la malattia è ormai in stadio avanzato è ancora possibile mettere in atto interventi conservativi dell’arto. Nei casi di malattia avanzata la cute del piede può essere fredda e presentarsi di colore rosso o bluastro con lesioni ulcerative talvolta anche molto piccole ma molto dolenti. “Quando vi sono questi sintomi – conclude il professor Caravaggi - ci troviamo in una situazione di vera emergenza poiché un’eventuale infezione di un’ulcera quando coesiste un’insufficiente vascolarizzazione del piede può evolvere in tempi brevissimi in un quadro di gangrena del piede con un rischio elevatissimo di amputazione. Il paziente deve recarsi immediatamente presso un Centro del Piede Diabetico per una rapida diagnosi alla quale deve seguire un intervento di rivascolarizzazione che, nella maggior parte dei casi, può essere effettuato per via endoluminale (angioplastica) o, nei casi più severi, con intervento chirurgico di by-pass. Il Centro del Piede Diabetico dell’Istituto Clinico Città Studi collabora sia con il Servizio di emodinamica interventistica periferica che con l’Unita’ di Chirurgia Vascolare dell’ICCS che si sono specializzati nella rivascolarizzazione degli arti inferiori nella popolazione diabetica”.

Alzheimer: La Regione Lazio stanzia 1,6 milioni di euro per l'assistenza

La Giunta della Regione Lazio ha approvato, su proposta dell'assessore alle Politiche Sociali e delle Sicurezze Luigina Di Liegro, una delibera che stanzia 1,6 milioni di euro per il finanziamento di progetti innovativi finalizzati al miglioramento della qualità di vita dei portatori del morbo di Alzheimer e delle famiglie che li assistono in casa. In Italia si stimano circa 700.000 ammalati, di cui circa 70.000 nel Lazio. L'80-90% di tutti i casi sono di demenza nella terza età, l'1% delle persone viene colpita prima di 65 anni, l'11% in età compresa fra i 65 e gli 80 anni, il 30% nei soggetti ultraottantenni. "È il secondo anno - ha detto l'assessore Di Liegro - che finanziamo 4 progetti per il sostegno ai malati di Alzheimer e alle famiglie che se ne prendono cura. Tutti gli interventi sono realizzati da Associazioni di volontariato (Auser Lazio, Casa Aima Onlus. Alzheimer Roma Onlus, Atama Anagni Onlus), perché crediamo fermamente nell'importante supporto che i volontari danno in questi programmi di assistenza". "Il fine di questi progetti, che non sono spot, ma programmati a lungo termine - ha continuato Di Liegro - è quello di garantire una maggiore integrazione socio-sanitaria tra Asl, enti locali e associazioni di volontariato, per superare la prevalenza della sanitarizzazione rispetto all'assistenza domiciliare e fornire servizi socio-assistenziali più attenti ai bisogni degli anziani, favorendo il mantenimento ed il recupero dei livelli di autonomia dei malati e il sostegno alla famiglie che si fanno carico dell'assistenza". "I dati dell'ultimo Rapporto sui servizi sociali del Lazio realizzato dal Sistema informativo dei servizi sociali del Lazio (Siss) dell'Assessorato alle Politiche sociali e delle sicurezze, dimostrano che gli anziani, insieme alle famiglie, ai minori e ai giovani disagiati, rappresentano quasi il 90% dell'utenza dei servizi sociali nel Lazio. Dal 2007 ad oggi, l'utenza di anziani è cresciuta del 3,6% e le strutture e servizi a loro dedicati sono 1.080. Di questi, 23 strutture sono riservate alle 1.192 persone affette da patologie invalidanti (+21,1%), come l'Alzheimer. Queste percentuali di utenti anziani aumenteranno, perchè l'invecchiamento demografico è in costante crescita. Questo - conclude Di Liegro - comporterà un aumento della spesa pubblica per l'assistenza a lungo termine. È necessario, quindi, progettare un sistema di welfare che si basi su una rete integrata di supporto agli anziani in difficoltà e che punti ad un'azione di formazione specialistica sia per gli operatori socio-sanitari e gli infermieri professionali, che per i volontari attivi in questo settore".

NEFROLOGIA: TOSCANA ALL'AVANGUARDIA

Con riferimento alle reti cliniche quelle nefrologiche sono ancora sulla carta ad eccezione di quella del Piemonte e della Toscana, organizzate intorno a quelle dei trapianti. In 17 regioni italiane, tra cui la Toscana, prevale il modello pubblico. Tra queste in 8, fra cui la Toscana, emerge un decentramento sul territorio con centri dotati di dialisi, dai quali dipendono varie strutture satellite. Il 70% dei trapianti renali vengono eseguiti in 5 regioni. Per quanto riguarda i piani sanitari regionali, la Toscana è una delle 7 regioni in cui la nefrologia è citata. Sebbene l’assistenza nefrologica non sia tra le priorità di intervento (solo in 3 regioni è considerata tale) l’assistenza ai pazienti è equiparata a quella in ambito oncologico per le patologie più gravi. Sempre in Toscana non è previsto un potenziamento di programmi dedicati già esistenti (è così in 17 regioni) ma si parla di potenziamento dell’assistenza sanitaria per malattie croniche la cui prevalenza è in aumento (in 17 regioni non sono previsti nuovi programmi) come in ambito nefrologico. La Toscana è una delle 5 regioni in cui è prevista l’assegnazione di risorse dedicate, ed una delle 3 in cui si parla di reti nefrologiche e del loro sviluppo. E’ però necessario mettere in atto interventi specifici per l’assistenza, in particolare per la creazione di reti di assistenza domiciliare. Il piano non specifica tempi modi e risorse. Un vanto è rappresentato dal coordinamento regionale ad elevata specializzazione. “Da un lato ci troviamo di fronte ad una domanda crescente di assistenza da parte dei pazienti, dall’altro siamo in presenza di un’offerta stabile” – conclude proprio il professor Del Vecchio – “La comunità nefrologica, la prima tra le Società Scientifiche a farlo, si è interrogata su come affrontare questo cambiamento strutturale. La strada difficile ma percorribile è quella di una più stretta collaborazione con altri professionisti medici e le nuove categorie, a partire da quella degli infermieri, che rappresentano per qualità e quantità la risorsa emergente in sanità. Una seconda strategia è il rafforzamento delle reti, con una più efficace ed efficiente distribuzione dei compiti all’interno dell’intera comunità nefrologica”.