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Il mercato del falso nel nostro Paese ha “fatturato” nel 2008 BEN 7 miliardi e 107 milioni di euro (la stima fa riferimento esclusivamente al mercato interno, senza considerare le merci contraffatte che partono dall’Italia verso l’estero). Il settore più colpito, in valore, è quello dell’abbigliamento e degli accessori (2,6 miliardi di euro), segue il comparto Cd, Dvd e software (più di 1,6 miliardi) e i prodotti alimentari (oltre 1,1 miliardi). Questi sono alcuni dei risultati di una ricerca promossa da Ares Spa e realizzata con il Censis, presentata oggi a Roma. Se si riportasse il fatturato complessivo della contraffazione sul mercato legale, si genererebbe una produzione aggiuntiva, diretta e indotta, per un valore di quasi 18 miliardi di euro, con un valore aggiunto di circa 6 miliardi. In altri termini, per ogni euro sottratto al mercato della contraffazione si attiverebbe nell’economia nazionale legale una produzione aggiuntiva di 2,5 euro, stimolando acquisti di materie prime, semilavorati, servizi e attivando nuova occupazione regolare. Sarebbero infatti poco meno di 130 mila le unità di lavoro impegnate nella filiera del falso. La contraffazione comporta anche perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali: in base alla stima effettuata, si calcola una perdita, tra imposte dirette e indirette (Ires, Irap, Iva), pari a 5 miliardi e 281 milioni di euro (considerando il gettito potenziale derivante dalla domanda diretta e quello derivante dalla produzione attivata negli altri settori dell’economia), pari al 2,5% del totale del gettito riferito alle imposte considerate. La contraffazione è infatti un fenomeno globale con rilevanti e crescenti impatti economici, fiscali e sociali. Compromette la fiducia dei consumatori nei prodotti e servizi che utilizzano, fa diminuire il fatturato delle aziende e il Prodotto interno lordo dei singoli Paesi, sottrae posti di lavoro all’economia regolare, fa crescere le spese aziendali per la sicurezza e priva lo Stato delle entrate fiscali dovute. In Italia, il commercio di beni contraffatti utilizza metodi sempre più sofisticati e sta aumentando progressivamente nelle dimensioni, come testimoniano i dati ufficiali più recenti: 61.365 operazioni di contrasto effettuate nel 2007, 39.066 sequestri e 70,9 milioni di prodotti sequestrati dalle forze di polizia, 17,5 milioni di prodotti sequestrati dalle dogane, 14.318 persone denunciate, 21.299 sanzionate, 1.522 arrestate. E si tratta solo della punta dell’iceberg di un fenomeno che resta per lo più sommerso. Secondo l’Ocse, nel mondo vengono contraffatti prodotti per un valore di 200 miliardi di dollari, pari a circa il 7% del valore del commercio mondiale. Ma la stima risulterebbe assai più elevata se tenesse conto anche dei prodotti acquistati entro i confini nazionali di tutti i Paesi e dei prodotti distribuiti illegalmente via Internet. La contraffazione di alcuni prodotti, in particolare, come quelli farmaceutici, gli alimentari, i giocattoli o le parti di veicoli, rappresenta un pericolo immediato per i consumatori, minacciandone la salute e la sicurezza. L’Italia, inoltre, è uno dei Paesi a maggiore rischio di perdita di competitività a causa dello sviluppo del mercato del falso, perché dispone di una struttura produttiva composta per la grande maggioranza da imprese piccole e medio-piccole, che hanno difficoltà ad attrezzarsi adeguatamente per contrastare il fenomeno, e perché ha una significativa quota parte di produzione e di export costituita da prodotti come i beni di lusso, e più in generale quelli del made in Italy che sono maggiormente esposti alla concorrenza sleale dei prodotti contraffatti. Nel settore dei prodotti farmaceutici, in particolare, molto è stato fatto finora sia a livello normativo che nel sistema di controllo. L’insieme delle attività intraprese, tra cui il sistema di tracciatura automatizzata promosso dal Ministero della Salute e frutto della collaborazione tra Ipzs e Ares Spa, fanno del nostro Paese il golden standard mondiale e inducono tutti gli esperti a ritenere che, allo stato attuale, non sia possibile la circolazione di farmaci contraffatti nei canali ufficiali. A fronte di questa esperienza, che ha dato grandi risultati, per fermare un’industria illecita che provoca danni ingenti negli altri settori merceologici sono necessari interventi di carattere normativo volti ad un innalzamento delle pene per chi produce e commercializza merce contraffatta; occorre promuovere al massimo la cooperazione tra i diversi organismi, pubblici e privati, creando tavoli e gruppi di lavoro a livello internazionale e locale; è necessario informare e sensibilizzare la popolazione, soprattutto i giovani, promuovendo campagne di comunicazione sui danni economici e i rischi cui si va incontro acquistando merci contraffate; ed è necessario utilizzare al meglio le nuove tecnologie, promuovendo su larga scala sistemi automatizzati di tracciatura che consentano di seguire il percorso dei singoli prodotti dalla fase di produzione alla commercializzazione finale. Su questa linea si muove il sistema di tracciabilità del farmaco introdotto in Italia a partire dal 2003 che consente, attraverso un bollino di identificazione unico a lettura ottica, di seguire in una banca dati centralizzata tutte le fasi di vita del prodotto: il sistema ha definitivamente sconfitto ogni forma di falsificazione dei prodotti medicinali nella rete distributiva nazionale.
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Clonati 14 embrioni umani, poi impiantati in 11 donne. Lo afferma l'independent online . Il 'merito' sarebbe del ricercatore Panayiotis Zavos, presso una clinica in medio oriente.
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Un metodo tra i più efficaci per controllare la diffusione della leishmaniosi canina è applicare al cane un collare a base di deltametrina, una sostanza che si distribuisce sulla cute dell’animale e impedisce la puntura del flebotomo (o pappatacio), il pericoloso insetto in grado di trasmettere l’agente responsabile della leishmaniosi. Il problema è di prima grandezza: con l’arrivo della primavera e della successiva stagione calda, torna infatti a prendere consistenza l’allarme leishmaniosi, una grave malattia parassitaria causata da un protozoo (Leishmania infantum), che può essere trasmesso al cane, principale “serbatoio” della malattia, e talvolta anche all’uomo tramite la puntura del pappatacio. E torna a imporsi sulla scena il collare, valido presidio capace di proteggere il cane dal pericoloso insetto.
Le ragioni di allarme sono di due ordini. Da un
lato, le indagini scientifiche più recenti – tra cui la LeishMap, il network scientifico per il monitoraggio
e la mappatura della leishmaniosi canina nel Nord Italia – segnalano che i
numeri della malattia nel cane sono in costante e rapido aumento. E non solo nelle
regioni centro meridionali e insulari a clima tipicamente mediterraneo, dove la prevalenza della sieropositività tocca
punte che vanno dal 40 (area napoletana) al 60 per cento (area catanese),
ma anche nelle regioni pre-appenniniche e addirittura in quelle prealpine a
clima continentale delle regioni del Nord Italia, tradizionalmente indenni.
All’origine dell’attuale situazione epidemiologica
sembrano coinvolti più fattori concomitanti, tra i quali l’introduzione di
soggetti infetti in zone dove era già presente il pappatacio a seguito
dell’evoluzione del rapporto uomo-cane – “turismo con cane al seguito” – e
l’adattamento dei flebotomi a nuovi habitat, anche a causa dei recenti mutamenti climatici-ambientali.
Il fenomeno desta preoccupazione non solo per la
necessità di proteggere i cani – specie quelli che trascorrono più tempo
all’aperto – dalla malattia, ma anche per garantire un’adeguata protezione sul
fronte umano. Molti degli attuali sforzi per il controllo della leishmaniosi
sono focalizzati sul cane perché la prevenzione della puntura dell’insetto
vettore è l’unica misura di profilassi per proteggere i cani dalla leishmaniosi
e ridurre il rischio di infezione nell’uomo. Il pappatacio infetto può infatti
inoculare la leishmania all’uomo, che in particolari condizioni – specie se
immunodepresso – può ammalarsi. «A causa del comportamento dei pappataci (che
non pungono solo l’uomo), delle loro piccole dimensioni e del loro volo
silenzioso (sono detti pappa-taci proprio perché “pappano in
silenzio”), di solito l’uomo non si accorge della loro presenza» ricorda
Michele Maroli, dirigente di ricerca presso il Dipartimento di Malattie
infettive, parassitarie e immunomediate (MIPI) all’Istituto Superiore di Sanità
(ISS). «Di conseguenza, l’uomo tende a ignorare il ruolo epidemiologico di
questi insetti come vettori della leishmaniosi, compromettendo i programmi di
lotta contro la malattia basati sulla partecipazione delle comunità».
Se la
malattia nel cane è di estrema gravità, anche l’uomo deve affrontare per
guarire un percorso diagnostico e terapeutico lungo e complesso, in particolare
se ha contratto la forma più grave, quella viscerale. In Italia i casi
notificati di malattia umana sono aumentati nel corso dell’ultimo decennio,
anche se l'uomo, a differenza del cane, è particolarmente resistente alla
malattia, tanto che nelle popolazioni esposte all'infezione si sviluppa
un’efficace immunità cellulo-mediata. «Oltre tutto, grazie allo sviluppo di
tecniche diagnostiche molecolari, negli ultimi anni è stato dimostrato che le
forme cliniche di leishmaniosi rappresentano solo la “punta dell’iceberg”,
perché nella maggior parte degli individui venuti a contatto con il parassita
l’infezione è del tutto asintomatica» aggiunge Luigi Gradoni, dirigente di
ricerca presso il MIPI all’ISS. «D’altra parte, la condizione di “portatore
sano” sembra conferire una robusta immunità alla re-infezione».
Le misure ritenute necessarie per il controllo della
leishmaniosi sono la protezione dal contatto con il patogeno responsabile
dell’infezione e la vaccinazione. A
tutt'oggi, però, non esiste ancora un vaccino anti-leishmania per uso umano o
canino di comprovata efficacia, pertanto la prima opzione è la sola praticabile
e l’unico strumento disponibile rimane
la prevenzione del contatto con il flebotomo. Anche perché, date le ridotte
dimensioni dell’insetto, le sue abitudini alimentari e la diffusione del
parassita in Italia, è improbabile che, in assenza di un’adeguata protezione,
il cane non venga punto ed eventualmente infettato.
L’uovo di Colombo per
bloccare questa spirale perversa è quindi la prevenzione, che si può realizzare
bloccando la circolazione della leishmania nel triangolo pappatacio-cane-uomo.
E dal punto di vista epidemiologico, il collare a base di deltametrina – con
un’efficacia che dura cinque mesi – è utile in ogni caso: se il cane è sano, il
presidio impedisce a un eventuale pappatacio infetto di contagiarlo, mentre al
contrario (cane infetto e pappatacio sano), evita che un insetto “non infetto”
diventi vettore del parassita. In entrambi i casi, il vantaggio si estende
all’uomo.
Secondo Marco Melosi, medico veterinario libero
professionista e vicepresidente nazionale dell’Associazione nazionale medici
veterinari italiani (ANMVI) con delega al settore Animali da compagnia, «è
fortemente consigliato l’utilizzo di strumenti che attuino una strategia no-feeding (capaci di impedire il
"pasto di sangue" del vettore) di provata efficacia. L’uso di questi presidi è indicato pure per evitare
un’ulteriore espansione della patologia anche in zone oggi indenni, ma che in
un prossimo futuro potrebbero non esserlo più. L’utilizzo di presidi no-feeding è consigliabile 1) nei cani
sani al fine di evitare l'infezione, 2) nei cani già infetti, “serbatoio” del
parassita, per evitare di amplificare l’infezione, dato che la malattia segue
un ciclo cane infetto - flebotomo - cane sano (o uomo) e 3) nei cani
“viaggiatori” che, se condotti in una zona endemica e qui infettati, potrebbero
portare la leishmaniosi anche in zone che ne sono attualmente indenni».
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