Se una donna fa uso di antibiotici prima di un esame di diagnosi prenatale, come l’amniocentesi, abbassa del 90% il rischio aborto. E’ il risultato di uno studio durato sette anni, dal 1999 e terminato nel 2005, pubblicato nell’ultimo numero della prestigiosa rivista Prenatal Diagnosis. APGA TRIAL, questo il nome dello studio, è il più grande mai eseguito in tema di diagnosi prenatale e tutto rigorosamente italiano. Sono state studiate circa 40 mila donne che si sono sottoposte ad altrettante amniocentesi presso il Centro di Medicina Materno Fetale “Artemisia” a Roma, il più grande in Europa in termini di numeri. Lo studio è stato guidato dal Prof Claudio Giorlandino, Presidente della SIDIP, Società Italiana di Diagnosi Prenatale e vi hanno preso parte, tra gli altri, il dottor Pietro Cignini del Dipartimento di Diagnosi Prenatale del centro di Medicina Materno Fetale dell'Artemisia, il dottor Alvaro Mesoraca del Dipartimento di Genetica e Biologia Molecolare Medicina Materno Fetale sempre dell'Artemisia ed il Prof. Marco Cini del Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa dell’Università di Tor Vergata di Roma che ha curato l’analisi statistica dello studio. E’ stato dimostrato con la più alta evidenza scientifica che deriva dalla metodologia utilizzata nello studio (randomizzato, controllato) che la profilassi Antibiotica prima dell’amniocentesi del secondo trimestre abbassa di circa il 90% gli aborti, passando da 1 aborto ogni 500 donne (0,2%) ad 1 aborto ogni 3.400 donne (0,03%) che si sottopongono a questo tipo di esame prenatale. “In Europa – ha affermato il Prof Claudio Giorlandino – abbiamo la migliore medicina materno fetale. Con i dati emersi dallo studio deve essere ormai chiaro che oggi fare l’amniocentesi non è rischioso. C’è un rischio aborto pari allo 0,03 % per chi fa la terapia antibiotica prima di sottoporsi alla procedura e pari allo 0,2 % per chi decide di non farla, percentuale comunque sempre molto bassa. Non si deve più parlare di un rischio pari all’1%. Questo, risalente a 23 anni fa, è ormai superato”. Giorlandino afferma inoltre che “ormai i recenti progressi nella Diagnostica di Biologia Molecolare hanno fatto sì che oggi sul liquido amniotico non si vada più ad indagare solo rispetto alle cromosomopatie (la più nota delle quali è la Sindrome di Down) ma anche altre malattie genetiche, legate al DNA. Questo oggi è possibile con la tecnologia dei microarrays con i quali si ha la possibilità, in casi selezionati, di studiare centinaia di malattie genetiche”. L’ultima frontiera infine che si apre su liquido amniotico è l’isolamento su di esso di cellule staminali pluripotenti, in grado differenziarsi in tutte le linee cellulari dell’organismo. “Queste caratteristiche, insieme con l'assenza di questioni etiche riguardanti il loro isolamento ed utilizzo – conclude l’esperto - suggeriscono che le cellule staminali presenti nel liquido amniotico potrebbero essere promettenti candidati per la terapia di numerose patologie umane”.