Per il glioblastoma, la più aggressiva fra le neoplasie del sistema nervoso centrale, la sopravvivenza dopo due anni dalla diagnosi negli ultimi tre anni è passata dal 10% con il solo trattamento radioterapico al 40% con i nuovi trattamenti combinati. I dati emergono da uno studio condotto su 103 pazienti da Alba Brandes, direttore dell’U.O. Complessa di Oncologia dell’Ospedale Bellaria–Maggiore di Bologna - e vengono presentati oggi in occasione del quarto congresso mondiale sui tumori del cervello, ospitato per la prima volta nel capoluogo emiliano. “Il nostro studio è stato condotto con la somministrazione di un chemioterapico per via orale, la temozolomide, in associazione alla radioterapia, e successivamente il solo farmaco in cicli mensili di terapia. Questo trattamento sequenziale è stato prolungato oltre i 6 mesi canonici sino ad almeno 12 mesi o, nei casi fosse presente ancora un dubbio di presenza di malattia anche oltre i 12 mesi. Sono state inoltre valutate le caratteristiche genetiche dei tumori ed in particolare il gene MGMT, che permette di produrre una proteina capace di riparare i danni indotti dalla chemioterapia sulla cellula tumorale di glioblastoma. L’assenza (metilazione) di questo gene ha quindi permesso di prevedere l’efficacia della temozolomide. Grazie all’integrazione dei dati genetici e delle caratteristiche dei quadri neuroradiologici siamo stati in grado di proseguire il trattamento anche in quei casi dubbi dove un tempo veniva interrotto il trattamento nel sospetto di ricrescita della malattia, con notevoli risultati in termini di aumento della sopravvivenza e qualità di vita dei malati, finora insperati nel trattamento di questa patologia”. Lo studio è di prossima pubblicazione sul Journal of Clinical Oncology una fra le più prestigiose riviste oncologiche internazionali.