Adriano Pessina, Direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica, Massimo Osler, presidente FIAN (Federazione Italiana delle Associazioni Neurologiche di pazienti); Mario Melazzini, Presidente AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica); Vladimir Kosic, Presidente della Consulta regionale delle associazioni dei disabili del Friuli Venezia Giulia, hanno sottoscritto anche a nome delle istituzioni che rappresentano un nota per la stampa.
Apprezziamo l’invito del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a discutere “nelle sede più idonee” del problema sollevato dalla lettera di Piergiorgio Welby. Riteniamo, però, che il cuore del dibattito riguardi l’adeguatezza della cura e dell’assistenza che, per essere tale, non può mai sfociare in forme di accanimento o di abbandono terapeutico.
Qualora la politica voglia affrontare in maniera seria e concreta i problemi della disabilità e della non autosufficienza, dovrà tenere in adeguata considerazione le reali condizioni in cui le persone con patologie gravi, in particolare neurodegenerative, e le loro famiglie vivono: mancanza di assistenza domiciliare qualificata, di supporto adeguato alla famiglia, di una rete organizzata e coerente di servizi sociali e sanitari, di reale solidarietà, coinvolgimento e sensibilità da parte dell’opinione pubblica. Il valore della vita personale, anche se vissuta tramite supporti quali la ventilazione meccanica o l’alimentazione artificiale, non può essere misconosciuto: la stessa cessazione dell’accanimento terapeutico, in fondo, è motivata da questo rispetto.
Nessuna impostazione rinunciataria può togliere il diritto all’assistenza e a una piena partecipazione nella società, sia alle persone con gravissime patologie, sia alle loro famiglie. L’intera esistenza di Piergiorgio Welby sta a dimostrare come la dignità umana non sia mai offuscata dalla patologia e che il coraggio di vivere si alimenta negli affetti, nelle relazioni, nella solidarietà civile: le sue parole al Presidente Napolitano non possono annullare il valore della sua testimonianza e non possono diventare occasione per promuovere forme di eutanasia o di abbandono, sia esso terapeutico, sia esso sociale.
La volontà di morire è spesso conseguenza dello stato di esclusione ed emarginazione, nella pratica e nelle parole, dalla società che rappresenta queste persone soltanto nei termini del peso, economico, sociale, affettivo. Il rapporto medico paziente, pazienti e società non può essere delegato soltanto a funzioni giuridiche o contrattuali né si può continuare a pensare che il problema della non autosufficienza si possa risolvere con briciole di intelligenza, di tempo e di risorse più o meno disponibili, senza coinvolgere, al contrario, la riorganizzazione dei sistemi interessati, e in primo luogo, il sistema socio-sanitario.
Già dal 2005 è attiva all’interno della Federazione FIAN una riflessione sul tema “aiutare a vivere, accompagnare il morire” che considera la morte, che inevitabilmente giunge per tutti, un fatto, non un diritto o un valore: ciò di cui si ha diritto, come uomini e cittadini, è l’assistenza, secondo quanto sancito solennemente dall’art. 32 della Costituzione Italiana.
La lettera di Welby serva per aprire un serio dibattito in Parlamento e nel Paese su che cosa si stia concretamente facendo per evitare l’emarginazione delle persone con gravi disabilità e con patologie invalidanti, su quanto si investa in termini di medicina, di assistenza domiciliare e di cultura della salute e della disabilità.